Per spiegare cosa sono le udienze cartolari occorre spiegare come e perchè sono nate.
L’Italia è purtroppo famosa per la lungaggine dei processi, che dipende da molti fattori, tra i quali certamente (ma non solo) la complessità delle procedure.
La precedente Ministra della Giustizia ha lavorato per mesi assieme ad alcuni tecnici del diritto (una Commissione di professori, magistrati, avvocati e giuristi) ad una serie di modifiche da approntare in ambito civile e penale: questo enorme complesso di novità e cambiamenti ha preso il nome di Riforma Cartabia, dal nome appunto della Ministra.
La portata della Riforma era tale che l’entrata in vigore è stata prorogata diverse volte, fino a che anno scorso, prima nel penale e poi nel civile, è divenuta operativa dalla sera alla mattina, impattando subito in modo potente su tutti noi operatori del diritto: ci sono voluti mesi per studiarla e capirla e tutt’oggi ci sono situazioni irrisolte e confliggenti che Governo e Parlamento, con emendamenti specifici, stanno via via cercando di correggere.
Ad esempio in ambito civile, al fine di velocizzare i processi, è stato ridotto drasticamente il numero delle udienze e soprattutto si è disposto che molte di esse si svolgano in modalità cartolare: ma cosa significa CARTOLARE?
Significa che anzichè andare in udienza, gli avvocati depositano telematicamente delle note scritte, le cosiddette NOTE D’UDIENZA, in cui svolgono per scritto ciò che avrebbero detto a voce in udienza di fronte al giudice ed alla controparte.
Qual è il grave limite di questa modalità?
Come si può immaginare, il principale difetto è che priva le parti della possibilità di interloquire tra loro davanti al magistrato: manca quindi quel “botta e risposta” tipico delle discussioni e che è funzionale a far emergere le questioni con immediatezza, semplicità ed in modo diretto.
Quindi possiamo dire che la trattazione cartolare penalizza molto il contraddittorio processuale.
Perché se talvolta per casi molto “giuridici” bastano i documenti ed i riferimenti alle norme, molto spesso invece le spiegazioni scritte non riescono ad essere esaurienti e a chiarire in tutte le sfaccettature una vicenda.
Il principio del contraddittorio è il cardine dei nostri processi: nel contraddittorio si riescono ad esporre al meglio le proprie ragioni e si dà la possibilità anche al magistrato stesso di porre domande, avere chiarimenti e specificazioni, cercare anche un compromesso, una mediazione, proporre una soluzione di buon senso al di là delle procedure giudiziali.
Inoltre senza vedersi in udienza gli avvocati perdono la possibilità di smorzare attriti e conflitti, poiché è solo di persona che si possono mettere in campo con maggior efficacia capacità di problem solving, empatia e persuasione.
La “cartolarità” dei processi civili, sperimentata per cause di forza maggiore nel periodo pandemico, doveva a mio avviso rimanere un’eccezione, mentre la Riforma Cartabia le ha conferito lo status di regola: in questo modo si penalizza la collaborazione tra le controparti, che adesso dialogano solo attraverso i loro atti, in un’ottica ovviamente più fredda e distaccata, senza la possibilità di mediare nell’incontro personale.
Oggi è quindi quanto mai importante affidarsi ad un professionista che, prima di iniziare una causa e di portarla avanti “per principio” o in nome di una ragione che poi si rivela di poca soddisfazione, consigli al cliente tutte le strade alternative possibili, dalla mediazione alla negoziazione, fino ad eventuali transazioni stragiudiziali o anche in corso di giudizio.
Lo scopo da perseguire non deve essere infatti vincere una causa in tutti i modi, ma fornire al cliente la migliore soluzione possibile in tempi brevi e con i costi minimi indispensabili.
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