Quando un avvocato parla in un processo, che sia per esporre una questione preliminare, per introdurre delle prove, per esaminare un teste o fare l’arringa, lo scopo finale è sempre persuadere il giudice.
Quindi è fondamentale tenere un comportamento corretto e professionale in ogni momento del processo, dall’inizio alla fine, per conquistare credibilità agli occhi del magistrato.
La costruzione della propria credibilità è un lavoro lungo e costante, che passa anche dalle piccole cose, come la puntualità, l’affidabilità, la precisione, il modo di vestirsi e presentarsi in udienza, il garbo nel rapportarsi alle altre parti, un’ordinata presentazione degli atti -che siano ben organizzati e preparati per la più agevole consultazione-, l’educazione nel porsi, la serenità nel parlare, l’onestà intellettuale, oltre che ovviamente l’approfondita conoscenza dell’argomento specifico di cui si sta trattando e del fascicolo processuale.
- Non ci si deve infervorare, né agitare per dimostrare che si crede in ciò che si dice o si fa: se sono certa delle mie ragioni, non occorre che urli, è sufficiente che io le esponga in maniera pacata e chiara, ponendo enfasi magari alle parti del discorso che desidero rimangano più impresse.
- Ma sarà sempre un accentuare non della voce o dei modi, ma del tono, che posso modulare in base all’importanza della frase e della circostanza che voglio sottolineare.
- Cercherò poi di esporre con perizia e intelligenza, in modo particolarmente intenso ed espressivo, arricchito di metafore, citazioni, coloriture delle descrizioni e delle argomentazioni più importanti.
Inoltre per convincere gli altri tramite l’eloquenza, si deve capire e conoscere il tipo di uditorio che si ha davanti, per cercare di adeguare ad esso sia il contenuto che la forma del discorso.
Infatti per essere persuasivi è fondamentale tenere in considerazione la persona che ascolta ed adeguarsi alle sue caratteristiche: se un magistrato ama la rapidità, sarà controproducente che io prepari una discussione di mezz’ora, perché lo farò soltanto innervosire; se un giudice non conosce il latino, infarcire il discorso di brocardi antichi mi farà risultare quanto meno antipatica; se so che in quel tribunale c’è una certa prassi, farò meglio a rispettarla, dimostrando di averne riguardo.
Difatti, affinchè la comunicazione verbale possa essere efficace occorre che tra oratore e ascoltatore si crei un reciproco rapporto di collaborazione: in questo modo colui che ascolta diventa tanto più disponibile a recepire le tesi presentate, quanto più l’oratore le adegua al suo uditore.
E’ importante quindi mettersi in condizioni di essere graditi ai giudici: non ritardare, non essere baldanzosi o arroganti, essere cortesi senza essere inutilmente ossequiosi o ruffiani, evitare atteggiamenti di superiorità o di ripicca, cercare di cogliere il punto di sensibilità del magistrato.
Nel proprio foro questo è certamente più semplice, perchè si è stabilita ormai una certa conoscenza con i magistrati (anche se periodicamente cambiano e quindi bisogna ogni volta ricominciare da capo!), ma è possibile anche nei fori di non appartenenza: è sufficiente ad esempio arrivare in udienza prima dell’ora prevista per il proprio processo ed osservare in quel tempo il Pm, il giudice, i cancellieri ed i colleghi per capire e cogliere dinamiche, propensioni, abitudini,… Oppure si può andare in cancelleria e chiedere spassionatamente un consiglio agli impiegati, oppure ancora si può chiedere agli altri avvocati che si incontrano nei corridoi o in aula sul momento.
Creare il proprio stile comunicativo, costituito quindi non solo di figure retoriche, eloquenza e sofismi, ma anche di accurato studio psicologico, è dunque una competenza imprescindibile per un penalista, che deve esercitare la propria capacità persuasiva, trasmettendo le sue argomentazioni non solo a livello conscio, ma anche inconscio.
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