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PSICOLOGIA DELLA PERSUASIONE NEL PROCESSO PENALE

19 Febbraio 2023

Quando un avvocato parla in un processo, che sia per esporre una questione preliminare, per introdurre delle prove, per esaminare un teste o fare l’arringa, lo scopo finale è sempre persuadere il giudice.

Quindi è fondamentale tenere un comportamento corretto e professionale in ogni momento del processo, dall’inizio alla fine, per conquistare credibilità agli occhi del magistrato.

La costruzione della propria credibilità è un lavoro lungo e costante, che passa anche dalle piccole cose, come la puntualità, l’affidabilità, la precisione, il modo di vestirsi e presentarsi in udienza, il garbo nel rapportarsi alle altre parti, un’ordinata presentazione degli atti -che siano ben organizzati e preparati per la più agevole consultazione-, l’educazione nel porsi, la serenità nel parlare, l’onestà intellettuale, oltre che ovviamente l’approfondita conoscenza dell’argomento specifico di cui si sta trattando e del fascicolo processuale.

  • Non ci si deve infervorare, né agitare per dimostrare che si crede in ciò che si dice o si fa: se sono certa delle mie ragioni, non occorre che urli, è sufficiente che io le esponga in maniera pacata e chiara, ponendo enfasi magari alle parti del discorso che desidero rimangano più impresse.
  • Ma sarà sempre un accentuare non della voce o dei modi, ma del tono, che posso modulare in base all’importanza della frase e della circostanza che voglio sottolineare.
  • Cercherò poi di esporre con perizia e intelligenza, in modo particolarmente intenso ed espressivo, arricchito di metafore, citazioni, coloriture delle descrizioni e delle argomentazioni più importanti.

Inoltre per convincere gli altri tramite l’eloquenza, si deve capire e conoscere il tipo di uditorio che si ha davanti, per cercare di adeguare ad esso sia il contenuto che la forma del discorso.

Infatti per essere persuasivi è fondamentale tenere in considerazione la persona che ascolta ed adeguarsi alle sue caratteristiche: se un magistrato ama la rapidità, sarà controproducente che io prepari una discussione di mezz’ora, perché lo farò soltanto innervosire; se un giudice non conosce il latino, infarcire il discorso di brocardi antichi mi farà risultare quanto meno antipatica; se so che in quel tribunale c’è una certa prassi, farò meglio a rispettarla, dimostrando di averne riguardo.    

Difatti, affinchè la comunicazione verbale possa essere efficace occorre che tra oratore e ascoltatore si crei un reciproco rapporto di collaborazione: in questo modo colui che ascolta diventa tanto più disponibile a recepire le tesi presentate, quanto più l’oratore le adegua al suo uditore.

E’ importante quindi mettersi in condizioni di essere graditi ai giudici: non ritardare, non essere baldanzosi o arroganti, essere cortesi senza essere inutilmente ossequiosi o ruffiani, evitare atteggiamenti di superiorità o di ripicca, cercare di cogliere il punto di sensibilità del magistrato.

Nel proprio foro questo è certamente più semplice, perchè si è stabilita ormai una certa conoscenza con i magistrati (anche se periodicamente cambiano e quindi bisogna ogni volta ricominciare da capo!), ma è possibile anche nei fori di non appartenenza: è sufficiente ad esempio arrivare in udienza prima dell’ora prevista per il proprio processo ed osservare in quel tempo il Pm, il giudice, i cancellieri ed i colleghi per capire e cogliere dinamiche, propensioni, abitudini,… Oppure si può andare in cancelleria e chiedere spassionatamente un consiglio agli impiegati, oppure ancora si può chiedere agli altri avvocati che si incontrano nei corridoi o in aula sul momento.

Creare il proprio stile comunicativo, costituito quindi non solo di figure retoriche, eloquenza e sofismi, ma anche di accurato studio psicologico, è dunque una competenza imprescindibile per un penalista, che deve esercitare la propria capacità persuasiva, trasmettendo le sue argomentazioni non solo a livello conscio, ma anche inconscio.  

Categoria: Procedura penale
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